Omelia della Veglia di Natale

di Carmelo Torcivia, presbitero, responsabile della Comunità Kairòs.

Dio ha un grande desiderio nel suo cuore: poter comunicare se stesso per creare un rapporto di amicizia con tutti gli uomini. Nel momento in cui comunica se stesso, il suo vero volto – di amore, di misericordia, di pazienza, di perdono, di magnanimità – , permette agli uomini di entrare nel calore di una relazione amicale con Lui. E così l’uomo, grazie a questa relazione, compie il viaggio interiore della sua conoscenza e del suo affidamento al Signore. Dio, cioè, rivelando se stesso, permette all’uomo di entrare in una profonda dinamica di autorivelazione. La relazione di amicizia con Dio, grazie a questo volto di luce di Dio, fa capire all’uomo chi realmente egli sia, lo fa arrendere all’amore, raddolcisce il suo cuore, sbriciola la corazza dell’indifferenza e della diffidenza, che in genere riveste il cuore di carne dell’uomo come un’armatura molto ingombrante e nociva.

Per questo, perché avvenga tutto questo, Dio si fa uomo, diventa carne, si fa debolezza, entra in contatto con un’alterità da sé veramente radicale: il peccato e la morte. In Cristo, nel concreto percorso della sua vita fino alla morte in croce, Dio porta su di sé il peccato e la morte, che sono tutto il contrario di Dio. Farsi uomo, per Dio, non è allora una passeggiata, non è un cammino di gloria e di ovazioni. È invece un cammino di kenosi, di abbassamento, di annientamento, di povertà. Perché tutti possano entrare in contatto con Lui. Perché nessuno si senta escluso. Ogni uomo, ogni donna potranno cogliere nel Dio che si è fatto un bambino povero una creatura da proteggere, da custodire. In ogni caso, da non avere mai paura né diffidenza. Tutti, veramente tutti allora, possono partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello di Dio che porta su di sé il peccato del mondo. La necessaria veste bianca è anch’essa donata dal Signore. Si tratta di accoglierla con gratitudine. C’è soltanto da far festa, da banchettare, da gioire, da vivere la pace della vera fraternità universale.

E Dio compie questo processo di kenosi e lo compie fin da principio, senza scontarsi nulla. Anzi, rende partecipi di questo stesso cammino gli uomini e le donne che Egli chiama. E così Elisabetta, Maria, Giuseppe, Zaccaria, Giovanni Battista, Simeone: tutti loro hanno avuto qualcosa da dire, da fare e da essere per preparare il laborioso cantiere dell’incarnazione di Dio. Le donne la cui fede è legata al “nulla è impossibile a Dio”, il giusto custode che si lascia guidare dai sogni, il silenzio espiatorio dell’incredulità, la vita scarnificata che si fa voce nel deserto contro ogni ingiustizia, la paziente e fedele attesa del Signore che ha saputo contare i giorni della propria vita fino alla vecchiaia per sciogliere l’abbraccio della morte nella gioia dell’incontro. Ognuno di loro – e noi in loro – ha generato il Signore, ha preparato le strade per l’incontro con Dio.

E così anche noi. Noi che siamo i pastori insonni, le sentinelle che aspettano l’alba, gli occhi delle civette che ci vedono di notte.

Noi oggi non ci stanchiamo di leggere, scrutare, interpretare le Scritture di Israele e della Chiesa per trovarvi quel senso antico che s’invera nel nostro oggi. La pratica della lectio divina è la prima fedeltà che vogliamo professare. Malgrado le nostre stanchezze in ordine alla vita comunitaria, le nostre abitudini chiuse al nuovo che sorge dalle stesse tradizioni, le tentazioni di scontatezza che molte volte attraversano la lettura degli stessi testi sacri. La lectio divina ci custodisce. Come i pastori d’Israele, attendiamo insonni l’annunzio di gioia e di liberazione degli angeli.

Noi oggi non ci stanchiamo di sognare ad occhi aperti un’umanità rinnovata dal cuore di Dio sotto il segno della fraternità e della pace. Malgrado la tentazione di chiudere definitivamente gli occhi per lunghezza della notte della crisi umana, antropologica prima ancora che economica. Non ci lasciamo stordire dal sonno avvelenato dal cinismo, dalla “globalizzazione dell’indifferenza”. Abbiamo un sogno che coltiviamo ad occhi aperti. Ed in questo sogno Dio ci parla e ci guida. Giusti come Giuseppe. Capaci di custodire la famiglia umana anche nell’esilio della marginalità. Come Giuseppe. Le sentinelle che fanno la guardia di notte sanno che l’attesa è lunga, ma l’alba è certa.

Noi oggi non ci stanchiamo di essere fedeli al mistero di pasqua, di saper vivere le nostre morti quotidiane con la fede nella resurrezione. I nostri occhi, come quelli delle civette, ci vedono di notte e sanno rischiarare il mistero del dolore e della morte con la resurrezione di Cristo. Il Gesù bambino che oggi nasce è, nell’iconologia bizantina, rivestito con le fasce con cui si rivestivano i morti perché nessuno dimentichi l’unità del processo d’incarnazione e la finalità pasquale dello stesso Natale.

Cosa dire, infine?

L’ultima parola la lasciamo a Francesco, l’attuale Vescovo di Roma, nel messaggio per 47 Giornata mondiale della pace.

“Cristo è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta tessere una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé […] È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella. Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda”.

Il Verbo di Dio fatto carne, che è venuto nel mondo per servire e non essere servito, ci conceda la grazia di custodire ogni suo sentimento, perché nel servizio umile e disinteressato verso tutti si compia la sua gioia in noi.

Amen.

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