L’espressione lectio divina significa “Lettura divina” o, più liberamente, “Lettura spirituale”. Essa indica immediatamente che non si tratta semplicemente di una lettura intellettiva o lettura-studio né di una lettura emotiva. Questo dipende dal fatto che l’oggetto di questa lettura in realtà è un soggetto che parla. E’ la Parola di Dio rivolta ad ogni uomo e storicizzata nelle Scritture. Da ciò discende che la lettura della Parola di Dio, di fatto, è un vero e proprio ascolto, in conformità al “primo comandamento” di Dt 6,4: “Ascolta, Israele”. La Parola di Dio è intimamente connessa all’azione dello Spirito. E infatti lo stesso Spirito che ha ispirato gli scrittori sacri a rendere possibile la lettura-ascolto. Da questo dipende che al di fuori di un atteggiamento invocativo (vd. Lc, 11-13; Gv 14,26) e orante non si dà lectio divina.
Il fatto inoltre che la Scrittura riveli la Parola di Dio non vuol dire che Scrittura e Parola di Dio siano la stessa cosa. Infatti, è possibile affermare che la Scrittura non esaurisce in se stessa quella Parola che tuttavia è contenuta nella Scrittura.
L’ ascolto dell’uomo non è un fatto puramente “acustico”. In realtà è giusto parlare di ascolto del cuore. Solo l’ascolto del cuore consente alla Parola di spiegare tutta la sua potenza trasformante. Un cuore in ascolto è un cuore di fede. Ma un cuore di fede è tale in quanto è un cuore che ascolta: la fede infatti proviene dall’ascolto, non dalla visione (Gv 20,29: At 1,9-11).
E’ la stessa Scrittura a contenere innumerevoli esempi di ascolto della Parola ed esortazioni all’ascolto: si vedano ad es. Ne 8,1-12; Lc 4,16-21; 8,4-15; 10, 38-42; 16,27-31; 24,27-44; At 2,42; 13,15; 2Tm 3,14-17.
L’ascolto della Parola di Dio è centrale nella vita della chiesa primitiva. I Padri occidentali e orientali praticavano abitualmente la lectio divina, anche se la sua sistematizzazione teorica è avvenuta con l’esperienza monastica nel Medioevo. I monasteri hanno continuato a praticare la lectio divina anche quando, dopo la Riforma protestante del XVI secolo, nel mondo cattolico essa cadde in disuso. E’ stato il Concilio Vaticano II, con la Costituzione Dogmatica Dei Verbum (si legga specialmente il cap. VI, 25), a riproporre la centralità dell’ascolto della Parola nella vita della Chiesa.
L’esperienza monastica ha codificato la lectio divina in una struttura che presuppone alcuni principi di fondo. La lectio divina conosce infatti quattro momenti: la lectio vera e propria, in cui il testo viene ascoltato-letto e studiato; la meditatio in cui il cuore “rumina” la Parola e si lascia condurre alla rivelazione del suo senso spirituale; la oratio in cui l’ascolto si fa preghiera; la contemplatio donata come grazia di comunione tra Dio e l’uomo. E’ Gesù stesso a insegnarci il metodo della lectio divina in Lc 24,27-44. Egli spiega le Scritture ai discepoli di Emmaus (lectio, 24,27); il cuore dei discepoli arde (meditatio, 24,32); essi lo pregano di restare con loro (oratio, 24,29); allo spezzare del pane lo riconoscono (contemplatio, 24,31). Al termine della lectio divina, i discepoli tornano a Gerusalemme e possono affermare: “Il Signore è veramente risorto” (24,34). I frutti della lectio sono il riconoscimento, la conversione e l’annuncio.
Il momento iniziale della lectio divina non può prescindere dalla storicità del testo e necessita pertanto di un approccio esegetico. La Parola può essere accolta nello spirito nella misura in cui è stata compresa la lettera. L’aspetto storico-letterale non è estraneo, ma costitutivo della rivelazione stessa. Poiché tuttavia la Scrittura è un unico libro che parla di Cristo (Lc 24,27), l’esegesi deve ubbidire al principio della Scriptura interpres sui ipsius (la Scrittura è interprete di se stessa). L’analisi del singolo brano, cioè, non può che tener conto del contesto proprio e del confronto con altri brani di riferimento. Solo così è possibile pervenire ad un autentica interpretazione. Per far ciò occorrono strumenti e competenze adeguate. Compatibilmente con la formazione di ciascuno, l’uso di questi strumenti è insegnabile e la formazione di queste competenze è possibile: sia pur a livelli diversi, l’esegesi della Parola è da raccomandare e non può essere un fatto elitario. Infatti grazie all’esegesi vissuta nello Spirito si perviene al contenuto rivelativo-teologico del brano in esame che permette in tal modo di cogliere il brano stesso non tanto come fonte di messaggi dogmatici o morali ma piuttosto come una specifica rivelazione del volto di Dio.
Ma la lectio divina in questa fase è appena al suo inizio. L’esegesi da sola accompagna l’ascolto ma non esaurisce l’ascolto. Con la meditatio il cuore che ascolta è chiamato a transitare dalla lettera allo spirito, ovvero dall’esegesi al discernimento (cosa mi vuole rivelare questa Parola?). E’ importante in questa fase, come afferma Origene, essere “uomini di desideri, non di contestazioni”. La docilità del cuore è un tratto fondamentale dell atteggiamento di ascolto. Non solo, ma l’atteggiamento di ascolto va tenuto lontano tanto dall’intellettualismo, con la sua pretesa di capire tutto, quanto dallo psicologismo, con la sua tendenza a ridurre lo “sta scritto” alla propria situazione emotiva, quanto ancora dal moralismo, con la sua attitudine a trarre dall’ascolto immediati comportamenti in base ai quali sottoporre a giudizio se stessi e gli altri. L’atteggiamento di ascolto è definibile invece come atteggiamento esodale. L’ascolto della parola non è per la disputa né per l’esame di coscienza né per il benessere (tutti atteggiamenti antropocentrici), bensì per la conversione e la comunione (teocentrismo). Siamo chiamati, attraverso l’ascolto, a uscire da noi stessi. Nella lectio divina, la meditatio individuale condivide i propri frutti in un momento comunitario chiamato collatio, nel quale ciascuno esprime liberamente e brevemente la riflessione che la Parola, ben ruminata, ha generato in sè. Nell’oratio la lectio divina cerca la comunione con il Dio che ci ha parlato. Non si ricorderà mai abbastanza quanto sia costitutivo della lectio divina il clima di preghiera all’inizio, durante e alla fine della stessa lectio. Nella contemplatio tutto il percorso seguito si apre gratuitamente alle possibili visite del Verbo che sovranamente investono l’anima.
L’esperienza della lectio divina insegna la capacità di essere poveri di fronte alla Parola e poveri di fronte alla vita. Spesso la Parola è ostica per il nostro cuore. Certi passi restano avvolti nel Mistero. Per le nostre domande non c’è risposta: la Parola di Dio si fa silenzio di Dio. Lectio divina significa anche sapere accogliere ed amare il silenzio di Dio. E poi confidare nell’assunto, frutto della sapienza monastica: Scriptura crescit cum legente. La comprensione della Scrittura cresce con noi. Proprio perché non è un esperienza meramente intellettuale o culturale la lettura spirituale della Bibbia non conosce “punti di arrivo”. La Parola spiega la sua potenza trasformante man mano che il cuore aumenta la propria disponibilità a farsi destrutturare dalla Parola stessa. L’esperienza di lectio divina insegna che il più grande impedimento al dilagare della Parola è l’io stesso, l’io profondo al quale la Parola stessa è rivolta. Man mano che la Parola riesce a farsi strada all’interno del cuore e a distruggere tutti gli idoli che l’io tende irrimediabilmente a costruirsi, man mano che le macerie di questi idoli si accampano sempre più attorno all’io, è a questo punto, un “punto” di grande debolezza e disorientamento, che la Parola riesce a portare frutto. E portare frutto vuol dire una cosa sola: conversione. Chi ascolta la Parola, come dice A. Louf, è in stato di conversione permanente.
La lectio divina è per tutti, religiosi e laici, scuola di ascolto, scuola di preghiera, scuola di vita. I frutti dell’ascolto si raccolgono nella celebrazione eucaristica, nella vita associata, nella professione. Con la lectio divina la vita cristiana riattinge alla fonte del messaggio e riscopre l’essenzialità della propria fede. La parabola del seminatore illustra bene il frutto della Parola in rapporto all’atteggiamento di ciascuno (Mt 13,18-23). Come il fico di Lc 13,6-9, ciascuno di noi, zappato e concimato dalla Parola, è atteso alla messa in pratica che costituisce lo spazio della libertà umana (“vedremo se porterà frutto ” dice speranzoso il Cristo-vignaiolo in Lc 13,9). Alla fruttificazione della Parola ci sollecita ancora la Scrittura in Es 24,4; Mt 7,24; Gc 1,2, mentre il criterio fondamentale per comprendere se l’ascolto della Parola ha portato frutto ce lo dà Sant Agostino: “Chiunque crede di aver compreso le divine Scritture o una qualche loro parte, ma in modo tale che quella comprensione non lo porta a edificare il duplice amore di Dio e del prossimo, costui in realtà non le ha ancora comprese” (De doctrina christiana I, 36,4), perché sono “queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1Cor 13,13) .
Bibliografia essenziale:
- E. Bianchi, Pregare la Parola, Gribaudi (e bibliografia ivi citata).
- A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, Qiqajon comunità di Bose.
Per la lectio divina si consiglia l’uso della Bibbia TOB o della Bibbia di Gerusalemme.